Ann-Marie D'arcy-Sharpe è una donna che soffre
di dolore cronico, più precisamente di fibromialgia, e anche lei ha deciso di
tendere una mano a coloro che sono nella stessa condizione: ha un blog in cui affronta tutto il mondo del
dolore cronico e offre suggerimenti per stare meglio.
“Il concetto del dolore cronico di "essere
per sempre"
Quando ti viene diagnosticato un dolore cronico, è normale
che ti venga detto che non c'è molto che i medici possano fare. Molti vengono
mandati via senza una diagnosi a causa dello stigma. Coloro che vengono
diagnosticati vengono raramente indirizzati a un trattamento appropriato. A
molti viene detto che dovranno "imparare a convivere" con il loro
dolore cronico.
Questa è stata la mia esperienza. Quando mi è stata
diagnosticata la fibromialgia, non mi è mai stata data alcuna indicazione che fosse
curabile. Non mi sono mai state offerte terapie psicologiche o alcun tipo di
trattamento efficace. Andavo regolarmente via dall'ambulatorio dello specialista
con l'impressione che questa sarebbe stata la mia vita adesso e che avrei
dovuto cercare di andare avanti con le cose come stavano. Fino a quando non ho
iniziato a fare le mie ricerche, non avevo idea che i miei sintomi potessero
migliorare, che avrei potuto tornare al lavoro e alle attività che mi piacevano
e che avrei potuto vivere una vita piena!
Quando senti che il dolore cronico è per sempre, il futuro
può sembrare scoraggiante. Inizi a chiederti se puoi fissare obiettivi per il
futuro, se sarai mai in grado di funzionare e goderti la vita.(...)
Il fatto che ci siano trattamenti là fuori che possono
aiutare le persone a riprendersi la vita, ma le persone non ne sono
consapevoli, è una situazione che non va bene. Nessuno merita di sentire di non
avere speranza, quando sono disponibili opzioni scientificamente provate,
facilmente accessibili ed economiche!”
(estratto dal film "Cake" con Jennifer Aniston) Jennifer Aniston interpreta una donna affetta da dolore cronico. Disperata, va in Messico per acquistare oppiacei.
Tutti i pazienti affetti da dolore cronico sanno quanto tardi arriva la diagnosi. Per non parlare di quanto spesso si viene curati (in buona fede ma in modo sbagliato) con un uso massiccio di benzodiazepine, che stordiscono ma non risolvono il problema del dolore cronico. Bisogna fare molta attenzione. I pazienti mal-curati possono ridursi a dipendenze nocive, a tossicodipendenze. E nei casi estremi a fare capo anche al mercato illegale pur di procurarsi certe sostanze. Negli Stati Uniti è diventato un fenomeno molto allarmante. Per chi vuole approfondire questo tema, vi rimando a questo articolo: clicca qui
Qui di seguito invece, un estratto da un libro molto interessante
pubblicato nel 2015 ma tuttora attuale (analgesici oppioidi: uso, abuso ed
addiction):
“(…) Il dolore cronico è pertanto poco trattato perché: • Non c’è l’abitudine a rilevare e a misurare il dolore da parte dei medici; • Non è considerato una priorità; • Vi sono carenze culturali circa la sua fisiopatologia e natura; • Vi sono carenze culturali circa il trattamento che non è solo farmacologico; • Vi è il timore della dipendenza dagli oppiacei; • Non vi è sufficiente formazione di medici e infermieri esperti nell’area dolore.
Da quanto emerso nel precedente
paragrafo possiamo affermare che per affrontare il dolore sarà necessario
sapere quale meccanismo patogenetico determina il quadro doloroso, alfine di
poterlo contrastare con la prescrizione di una terapia appropriata. (…)
Inoltre per trattare
appropriatamenteil dolore cronico sarà
necessario attivare più trattamenti chespesso potrebbero e dovrebbero coesistere. Alla luce delle caratteristiche
del dolore e della possibile coesistenza di differenti meccanismi che ne sostengono
e ne perpetrano la sussistenza, la combinazione di più terapie mirate può
risultare essere più efficace e meno rischiosa per il paziente, evitando l’uso di
analgesici in mono-terapia a dosi elevate. Questo approccio potrebbe evitare in
un prossimo futuro quello che sta succedendo in USA dove la terapia cronica con
oppiacei sta portando ad un crescente allarme, anche a carattere sociale e
quindi non solo medico-sanitario.(…)”
“Tensione è chi pensi che dovresti essere, pace è chi sei” (proverbio cinese)
7. La
meditazione per stare meglio
“L’introduzione della
consapevolezza nell’insieme dei processi sensoriali in un certo senso favorisce
la percezione e l’integrazione del cervello con il corpo e con una visione più
ampia dell’esperienza stessa. Almeno così ci sembra. Forse è vero che la
corteccia somatosensoriale si modifica in risposta a regolare pratica di
meditazione di questo genere; quel che è certo è che, a mano a mano che ci
sintonizziamo sulle varie dimensioni del panorama corporeo, noi sentiamo che la
nostra consapevolezza del corpo si fa sempre più raffinata, più sottile, più
sensibile, più ricca di sfumature emozionali. E questa sensazione è supportata
dai resoconti dei tantissimi pazienti che praticano la meditazione: questi
riferiscono i cambiamenti profondi che produce la pratica dell’esplorazione del
corpo quotidiana, per un periodo di svariate settimane, nella relazione che
hanno con il dolore cronico o con il cancro o con la cardiopatia, con la paura
che provano, con il loro modo di vedere il proprio corpo. Non di rado accade
che mentre si pratica l’esplorazione del corpo si percepiscano le sensazioni
fisiche in maniera più acuta, al punto da sentire anche più dolore, una
maggiore intensità di sensazioni in certe zone. Allo stesso tempo, inoltre, nel
contesto della pratica di consapevolezza si accolgono le sensazioni con
maggiore precisione e cura, quali che siano la loro natura e intensità, e si
sovrappongono loro meno strati di interpretazioni, giudizi e reazioni come
l’avversione e gli impulsi di fuga.
Nell’esplorazione del corpo noi sviluppiamo un’intimità maggiore con la
sensazione nuda e cruda, ci apriamo a quello scambio di dare-e-ricevere che è
proprio della reciprocità fra le sensazioni in sé e la consapevolezza che ne
abbiamo. Ne risulta, non di rado, che le sensazioni ci disturbano di meno, o in
un modo diverso, più saggio, anche quando sono piuttosto acute. La
consapevolezza insegna a lasciare che le sensazioni siano come sono e ad
accoglierle senza che inneschino una gran reattività emotiva e la solita
turbolenta attività di pensiero che ne consegue. A volte parliamo di
consapevolezza e discernimento discriminanti, ossia di questo « non abbinamento
» della dimensione sensoriale dell’esperienza del dolore con le dimensioni
emozionali e cognitive del dolore stesso; questo si può verificare
spontaneamente. Nel processo a volte l’intensità delle sensazioni stesse si
riduce; in ogni caso chi le prova può arrivare a considerarle meno pesanti,
meno debilitanti.
È come se la consapevolezza stessa, soffermandosi con le sensazioni
senza giudicarle né reagire loro, guarisca la visione che abbiamo del corpo e
le permetta di venire a patti, almeno in parte, con le sue condizioni così come
sono al presente; in questo modo le sensazioni smettono di esercitare una
continua erosione della qualità della nostra vita, anche in presenza di dolore
o malattia. Essere consapevoli del dolore è davvero tutt’un mondo diverso,
rispetto a esserne prigionieri e in lotta perenne; basta fare un solo passo
dentro quel mondo per trovarvi un po’ di soccorso e di sollievo. In sé questa è
già un’esperienza liberatoria: è una profonda liberazione, almeno in quel
momento, da un modo più ristretto di vivere l’esperienza del dolore quando non
viene considerata come pura e semplice sensazione. Non si tratta in alcun senso
di una cura: si tratta di un processo in cui ci si apre e si impara e si accetta
di navigare sugli alti e bassi di quello che in precedenza era impenetrabile e
ingestibile.
Alle persone che vengono alla Clinica per la riduzione dello stress
diciamo: « Quale che sia la vostra situazione, in qualunque condizione vi
troviate, per quanto dolore e sofferenza abbiate sopportato finora, per quanta
disperazione possiate provare, se vi dedicate con tutti voi stessi alle
pratiche di meditazione molto probabilmente arriverete a scoprire almeno che
potete fare qualcosa per la vostra condizione. E a volte questo ‘qualcosa’ è
tantissimo, è un’enorme rivelazione ».
La vita risponde in modo davvero notevole all’attenzione saggia, forse
anche per la profonda plasticità del sistema nervoso; ma l’attenzione saggia
richiede che noi, di fronte alle grandi sfide della vita, specie a quelle che
portano con sé grandissima sofferenza e lutto, davanti a tutto il dolore e la
confusione e perfino alla disperazione, si sia disposti a fare un certo genere
di lavoro su noi stessi e con noi stessi, un lavoro che nessuno sulla faccia
della Terra può fare al posto nostro, per quanto lo desideri, magari, per
quanto affetto abbia per noi, per quanto dispiacere possa provare per noi, per
quanto ci stia aiutando in tutti i modi possibili.
Nel campo dell’esperienza interiore ed esteriore le cose sono
modificabili a un livello stupefacente; lo sono molto di più se ci si alza e ci
si rimbocca le maniche: a volte soltanto a quella condizione. Potrebbe essere
il compito più difficile al mondo; per quel che mi riguarda credo che coltivare
la consapevolezza e assaporare la libertà dalla mente condizionata sia davvero
il compito più difficile che ci sia al mondo.
Ma in fin dei conti che altro fare? A essere appesa a un filo, in
equilibrio, è la propria stessa vita; già per questa ragione si tratta non solo
di una sfida ardua, ma anche di un lavoro che dà profonda soddisfazione. Vi si
scopre che essere pienamente presenti è già di per sé proprio appagante,
occuparsi di quello che c’è in modo non reattivo e non giudicante anche quando
— specialmente quando — si tratta di paura, solitudine, confusione e della
sofferenza psichica che accompagna questo genere di stati mentali. Scopriamo
che su questi stati mentali e fisici si può lavorare, il che significa in
ultima analisi che sono passibili di profonda guarigione.”
Gli esperti di medicina mente-corpo sollecitano la piena integrazione
della riduzione dello stress nella cura e nella ricerca
In una prospettiva pubblicata sul
New England Journal of Medicine, i ricercatori del Benson-Henry Institute (BHI)
per la medicina del corpo e della mente del Massachusetts General Hospital
(MGH) chiedono un uso più ampio delle pratiche mente-corpo.
In un'epoca in cui la
meditazione, lo yoga e la consapevolezza aumentano di popolarità per il
benessere generale, il pezzo sottolinea la necessità di integrare completamente
queste pratiche di riduzione dello stress nei piani di trattamento dei pazienti
e nella ricerca medica.
Lo stress va ad esacerbare
l'ansia e la depressione, e svolge un ruolo in condizioni come malattie
cardiovascolari, disturbi autoimmuni, sindrome dell'intestino irritabile, mal
di testa e dolore cronico, secondo l'autore principale Michelle Dossett, MD,
Ph.D., della UC Davis Health.
"Riducendo la risposta allo
stress del corpo, le pratiche mente-corpo possono essere un potente complemento
in medicina aiutando a diminuire i sintomi dei pazienti e migliorando la loro
qualità di vita", afferma Dossett, che era un medico e ricercatore al BHI
quando la prospettiva è stata scritta.
Nonostante il suo recente aumento
di popolarità tra il grande pubblico, la medicina mente-corpo non è nuova. I
ricercatori del BHI integrano il campo della medicina mente-corpo nei programmi
di assistenza clinica, ricerca e formazione di MGH dal 2006.
Le prime ricerche sui vantaggi di
tali tecniche risalgono a oltre 40 anni fa, quando il fondatore dell'istituto e
autore senior della prospettiva, Herbert Benson, MD, divenne uno dei primi
medici occidentali a portare spiritualità e guarigione in medicina ed è famoso
per il suo lavoro con la Risposta di Rilassamento.
"La Risposta di Rilassamento",
afferma Benson, "è una capacità innata e antistress che trascende le
differenze che separano la mente dal corpo, la scienza dalla spiritualità e una
cultura dall'altra".
Al BHI, la medicina mente-corpo è
ampiamente riconosciuta come la terza gamba di uno sgabello a tre gambe: la
prima gamba è la chirurgia, la seconda è la farmacologia e la terza è la cura
di sé, in cui i pazienti apprendono tecniche per migliorare la propria salute
attraverso medicina mente-corpo, nutrizione ed esercizio fisico.
"La medicina occidentale ha
prodotto benefici per la salute rivoluzionari attraverso i progressi nelle
farmacoterapie e nelle procedure", descrivono i ricercatori nella
prospettiva. "Ora deve affrontare enormi sfide nel combattere le malattie
non trasmissibili legate allo stress.
... Il dolore cronico, spesso perpetuato dallo stress psicosociale, è diventato
un'epidemia che il nostro arsenale farmaceutico è scarsamente attrezzato per
gestire e i costi medici continuano a salire. Le terapie mente-corpo possono
essere un utile complemento nella gestione del dolore cronico e di altre
malattie non trasmissibili legate allo stress promuovendo la resilienza
attraverso la cura di sé ".
L'articolo affronta anche le
nozioni preconcette di medicina mente-corpo dei pazienti scettici, nonché le
barriere previste per la copertura dei servizi e l'educazione dei medici
sull'uso appropriato di questi strumenti. Queste sfide rafforzano ulteriormente
la necessità di continuare la ricerca e gli investimenti nello sviluppo e nell'attuazione
di pratiche personalizzate per massimizzare il loro potenziale di salute
pubblica.
Dossett e i suoi colleghi
rilevano anche come che le pratiche mente-corpo possono essere utili per
ridurre lo stress correlato all'epidemia di COVID-19.
Benson e il coautore della
prospettiva Gregory Fricchione, MD, che è l'attuale direttore del BHI, guidano
il campo della medicina mente-corpo e della ricerca per contrastare gli effetti
dannosi dello stress, promuovendo così la salute e riducendo la vulnerabilità
alle malattie legate allo stress. Dossett, che si è formata e ha avuto come
mentori Fricchione e Benson, sposta la ricerca sulla medicina mente-corpo oltre
le mura del BHI presso l'UC Davis Health come ricercatore principale in
medicina integrativa e assistente professore di medicina interna.
Traduzione di Filo di Speranza.
More information:
Michelle L. Dossett et al. A
New Era for Mind–Body Medicine, New England Journal of Medicine (2020). DOI:
10.1056/NEJMp1917461
"Tre cose soprattutto l’uomo moderno deve apprendere per divenire sano e
completo: l’arte del riposo, l’arte della contemplazione, l’arte del
riso e del sorriso."
(Roberto Assagioli)
6. La produttività non determina il tuo valore
Nonostante ciò che la nostra cultura può indurci a credere,
siamo molto più di una lista di cose da fare. Hai mai notato che nei tuoi
giorni veramente produttivi ti senti particolarmente orgoglioso e soddisfatto?
O che quando non hai portato a termine
compiti o raggiunto obiettivi personali o professionali, ti senti come deluso o
abbattuto? Questa è un'esperienza comune a tutti coloro che associano
ciò che sono a ciò che fanno.
Viviamo in una cultura che sembra valorizzare i risultati
sopra ogni altra cosa. In risposta, siamo diventati così esperti nei modelli di
creazione, produzione e "fare" che abbiamo imparato ad associare la
nostra produttività a ciò che siamo.
Ma non siamo
destinati a lavorare e produrre sempre.
Vivere una vita multiforme significa che parte del tempo è da
trascorrere riposando, immaginando, riflettendo, ascoltando, ridendo e
connettendosi con noi stessi e gli altri.
Noi con neuropatie croniche dobbiamo quindi imparare a uscire
dalla modalità produttività perché
gestiamo emozioni impegnative, bassa energia, dolore, malattia e altre parti
non pianificate della vita. E fare di tutto per entrare nell’altra modalità multiforme, ed imparare
a tollerare, e persino a divertirsi nei
tempi di inattività. E’ questa la chiave per il nostro benessere mentale,
fisico ed emotivo.
Un nuovo approccio al trattamento del dolore cronico
potrebbe portare sollievo
Recensito da Emily Henderson, B.Sc. 19 agosto 2020
Qualcosa come un quarto della popolazione mondiale soffre di
dolore cronico a un certo punto della loro vita. Al contrario del dolore acuto
- ad esempio, la sensazione dopo aver colpito il dito con un martello - il
dolore cronico potrebbe non avere nemmeno una causa chiara e può persistere per
anni o per tutta la vita. Il peso del dolore cronico include danni alla salute
mentale e fisica, minore produttività e tossicodipendenza.
Un nuovo studio condotto da scienziati del Weizmann
Institute of Science suggerisce un approccio originale al trattamento di questa
afflizione, prendendo di mira un gateway chiave che porta all'attivazione di
geni nelle cellule nervose periferiche che svolgono un ruolo in molte forme di
dolore cronico. I risultati di questo studio sono stati pubblicati oggi su
Science.
Il dolore inizia nei neuroni sensoriali, quelli che
trasmettono informazioni dalla pelle al sistema nervoso centrale. Danni a
questi neuroni, lesioni croniche o malattie possono causare il
"cortocircuito" dei neuroni, inviando messaggi di dolore continui. Il
Prof. Mike Fainzilber del Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell'Istituto
studia le molecole che regolano le attività di messaggistica biomolecolare che
si svolgono all'interno di queste cellule nervose.
Queste molecole - importine - si trovano in ogni cellula,
agendo come condotti tra il nucleo della cellula e il suo citoplasma,
trasportando le molecole dentro e fuori dal nucleo e controllando così
l'accesso ai geni. Questo ruolo assume un significato speciale nelle cellule
nervose periferiche, con i loro corpi lunghi e sottili in cui i messaggi
molecolari possono impiegare ore per passare dalle terminazioni nervose ai
nuclei cellulari. Alcune delle importine che Fainzilber e il suo team hanno
identificato, ad esempio, trasmettono messaggi circa lesioni al corpo della
cellula nervosa, avviando meccanismi di riparazione.
Per chiedere se le importine siano coinvolte nel dolore
neuropatico cronico, i ricercatori, guidati dalla dott.ssa Letizia Marvaldi nel
gruppo di Fainzilber, si sono inizialmente proposti di esaminare una serie di
linee di topi importina-mutanti generate dal laboratorio del Prof.Dr.Michael
Bader presso il Max-Delbruck Center di Berlino, che ha collaborato a questa
ricerca. La ricerca è stata sostenuta dal Consiglio europeo della ricerca.
Gli esami comportamentali su queste diverse linee hanno rivelato
una particolare importina - importina alfa-3 - come l'unica importina implicata
nel controllo delle vie del dolore. Il team ha quindi cercato di identificare
il modello di espressione genica associato al dolore di lunga durata nelle
cellule nervose periferiche e vedere come si legava all'attività dell'importina
alfa-3. L'analisi delle differenze nei pattern di espressione tra neuroni
normali e neuroni privi di importina alfa-3 ha indirizzato l'attenzione del Dr.
Marvaldi su c-Fos, una proteina che l'importina alfa-3 porta nel nucleo. c-Fos
è un fattore di trascrizione, una molecola che aumenta o riduce l'espressione
di numerosi geni. Ulteriori esperimenti sui topi hanno dimostrato che il c-Fos
si accumula nel nucleo delle cellule nervose periferiche di topi che soffrono
di dolore cronico.
Hanno quindi utilizzato virus specializzati come strumenti
per ridurre o disabilitare l'importina alfa-3 o c-Fos nelle cellule nervose
periferiche dei topi. Questi topi avevano risposte molto ridotte a situazioni
di dolore cronico rispetto a quelle dei topi normali. Ulteriori ricerche hanno
dimostrato che l'importina alfa-3 è fondamentale nel dolore tardivo e cronico.
c-Fos è anche coinvolto nelle prime risposte al dolore, ma sembra entrare nel
nucleo con altri mezzi in quelle fasi iniziali. Ciò suggerisce che il blocco
dell'attività dell'importina alfa-3 potrebbe essere particolarmente adatto per
prevenire il dolore cronico e duraturo.
Il team di ricerca ha quindi portato i risultati a un livello
superiore, chiedendo quanto facilmente possano essere tradotti in applicazioni
cliniche. Hanno approfittato di un database specializzato, la Connectivity Map
(CMap) del Broad Institute in Massachusetts, che rivela le connessioni tra
farmaci e modelli di espressione genica. Questo database ha consentito loro di
identificare circa 30 farmaci esistenti che potrebbero colpire la via
dell'importazione alfa-3-c-Fos.
Quasi due terzi dei composti che hanno identificato non
erano precedentemente noti per essere associati al sollievo dal dolore. Il team
ne ha scelti due - uno un farmaco cardiotonico e l'altro un antibiotico - e li
ha testati di nuovo sui topi. In effetti, l'iniezione di questi composti
fornisce sollievo dai sintomi del dolore neuropatico nei topi.
I composti che abbiamo identificato in questa ricerca nel
database sono una sorta di corsia preferenziale: la prova che i farmaci già
approvati per altri usi nei pazienti possono probabilmente essere riutilizzati
per trattare il dolore cronico. Gli studi clinici potrebbero essere condotti
nel prossimo futuro, poiché questi composti hanno già dimostrato di essere
sicuri per gli esseri umani ".
Dott.ssa Letizia Marvaldi, Ricercatrice
"Siamo ora in grado di condurre degli screening per
molecole di farmaci nuove e migliori che possono mirare precisamente a questa
catena di eventi nei neuroni sensoriali", afferma Fainzilber. "Tali
molecole mirate potrebbero avere meno effetti collaterali e creare meno
dipendenza rispetto ai trattamenti attuali, e potrebbero fornire nuove opzioni
per ridurre il peso del dolore cronico".
"Quando si tratta di
dolore, è davvero la mente sulla materia?
È una domanda che ha
sconcertato gli studiosi per secoli: il dolore è un'esperienza corporea o
mentale? Rich Harrison spiega perché questo è un problema così complesso da
risolvere
Lunedì 24 febbraio 2020 19:14
Le persone spesso usano la frase "mente sulla
materia" per descrivere situazioni in cui i mali e i dolori del corpo
vengono ignorati usando la mente. Un giardiniere arriva dal giardinaggio ed è
sorpreso di scoprire un brutto taglio sulla sua mano, qualcosa di cui non era a
conoscenza mentre era concentrata sulle sue piante. Oppure un soldato in
Afghanistan viene ferito da un proiettile ma sente poco dolore finché non è al
sicuro in infermeria. Se il dolore fosse direttamente e interamente collegato a
lesioni fisiche, questi esempi sarebbero impossibili. Un taglio provocherebbe
sempre un lieve dolore, mentre una ferita da arma da fuoco causerebbe
immediatamente un forte dolore. Ma non è sempre così.
Gli scienziati del dolore sono attenti a distinguere tra uno
stimolo dannoso (nocivo) e il dolore. Nel caso del soldato, il suo stimolo (una
ferita da proiettile) è nocivo ma non doloroso. La ricerca ha dimostrato che il
cervello ha la capacità di attenuare l'intensità con cui viene sperimentato uno
stimolo dannoso. Questo processo è noto come "modulazione del dolore"
ed è il modo in cui il nostro corpo ci permette di far prevalere la mente sulla
materia in alcune situazioni.
Per comprendere la modulazione del dolore, dobbiamo capire
come i pensieri e le sensazioni influenzano il dolore. Negli ultimi due anni,
un progetto che ha coinvolto psicologi e filosofi dell'Università di Reading e
medici e pazienti dell'NHS Royal Berkshire Hospital ha esplorato questa
questione. La nostra idea è che le persone abbiano opinioni sul dolore - alcune
delle quali non sono nemmeno consapevoli di avere - che influenzano il modo in
cui provano il dolore e, forse ancora più importante, come traggono beneficio
da certi tipi di trattamento del dolore.
Dove lo senti?
Stiamo indagando se le persone considerano intuitivamente il
dolore come qualcosa nella mente o nel corpo. Le persone parlano del dolore in
entrambi i modi, sottolineando l'aspetto corporeo quando dicono cose come:
"Il dolore è nel mio dito". E sottolineando l'aspetto mentale
dicendo: "Il dolore sembra una tortura". Ma le persone hanno una
posizione predefinita? Una persona tende a pensare al dolore come a
un'esperienza corporea, mentre un'altra la pensa come a uno stato mentale? Per
scoprirlo, abbiamo progettato una serie di brevi scenari ipotetici che hanno sondato
la visione del dolore delle persone. Abbiamo scoperto che le persone possono
adottare una visione del dolore più corporea o più mentale e che le loro
opinioni possono cambiare, a seconda del contesto.
La domanda successiva e forse la più importante è se queste
opinioni influenzano l'assistenza sanitaria che le persone ricevono per il
dolore. Il dolore cronico è una condizione debilitante, che porta con sé enormi
costi personali, sociali ed economici. È anche una condizione molto difficile
da trattare, con approcci chirurgici e farmacologici che spesso hanno scarsi
risultati.
Abbiamo scoperto che le persone possono adottare una visione
più fisica o più mentale del dolore e che le loro opinioni possono cambiare, a
seconda del contesto
Gli interventi psicologici, come la terapia cognitivo
comportamentale (CBT), d'altra parte, sono spesso efficaci e hanno pochi
effetti collaterali. Fondamentalmente, tuttavia, questi trattamenti non
funzionano per tutti. Alcune persone con dolore cronico non trovano alcun aiuto
in questi programmi o abbandonano il trattamento senza nemmeno dargli una
possibilità. Quindi la domanda è: perché questi trattamenti funzionano per
alcune persone e non per altri?
La nostra ricerca si concentra sul fatto che le ipotesi di
fondo sul dolore che qualcuno porta con sé in una clinica, possano determinare
se un trattamento come la CBT funzionerà per loro. Dopotutto, se tu fossi un
paziente che vede la lombalgia come una caratteristica della colonna
vertebrale, piuttosto che come una combinazione della colonna vertebrale e
della mente, non saresti confuso o infastidito se ti mandassero in terapia per
alterare la tua mentalità?
Vivere con il dolore può essere un peso costante. Se ritieni
di aver ricevuto il tipo sbagliato di trattamento, abbandonare o non
partecipare completamente è una risposta logica. Se riusciamo a dimostrare che
le convinzioni esistenti di qualcuno sul dolore influenzano il modo in cui
accede e beneficia di trattamenti psicologici, possiamo lavorare per modificare
queste convinzioni per consentire loro di ottenere il massimo beneficio. Per
fare ciò, progetteremo e testeremo un programma CBT avanzato che aiuti le
persone a riconoscere il ruolo della mente nell'esperienza del dolore. Ci
auguriamo che questo tipo di programma potenziato possa aiutare più pazienti a
trarre vantaggio da interventi basati sulla mente, rendendo la mente sulla
materia una realtà per più pazienti.
Rich Harrison è un ricercatore post-dottorato sul dolore
presso l'Università di Reading. Questo articolo è apparso per la prima volta su
The Conversation"
“Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale” (Alessandro Baricco)
5. Poniti dei piccoli obiettivi
Sebbene tu possa apprezzare di ricevere aiuto in attività come cucinare i pasti, fare la spesa, ecc., diventare anche solo un po’ più indipendente può aiutarti ad alleviare l'ansia, aumentare la fiducia in te stesso e ridurre l'impatto che il dolore ha nella tua vita. Per fare tutto ciò puoi cercare strategie di trattamento che possano aiutarti a ritrovare un maggiore senso di controllo, una maggiore resistenza, una migliore lucidità mentale. Parlane con il tuo team curante.
Abiti al terzo piano e prendi l’ascensore perché fai fatica? Inizia con il fare un piano di scale a piedi, se necessario facendoti aiutare. Poi prendi l’ascensore per gli altri due piani. Arriverà il giorno in cui sorriderai facendo tutti i tre piani da solo.
E quando acquisterai un po’ più di mobilità e sicurezza, poniti un obiettivo ancora un po’ più grande: ovviamente qualcosa che sia proporzionato e raggiungibile senza che il dolore peggiori. Per esempio, vorresti tanto andare a un concerto di musica classica ma dura molte ore e non sai se riuscirai a stare seduto per tutto quel periodo. Piuttosto che rinunciare, perché non optare per un recital che è più corto? O un concerto all’aperto, così in ogni momento puoi andartene senza disturbare nessuno.
Questa strategia dei piccoli passi, ti darà coraggio e speranza. Ti farà capire che ogni giorno stai facendo qualcosa in di più di ieri, e sarà più facile andare avanti.