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(immagine dal web)
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"La medicina moderna delude le
persone con dolore cronico
Il rigido sistema sanitario
negli Stati Uniti spesso lascia i pazienti con dolore in condizioni peggiori. È
tempo per i medici di ricentrare il rispetto e la compassione.
Questa storia è adattata dal libro “The Song of Our
Scars: The Untold Story of Pain”, di Haider Warraich.
Non ho mai saputo cosa facesse
per me la mia schiena finché non me la sono rotta. Si scopre poi che ha fatto
tutto. Mi ha aiutato a stare in piedi, sedermi e sdraiarmi. Mi ha aiutato a
camminare e correre. Ma ora un disco si stava gonfiando nel mio midollo
spinale, mandando brividi fino al coccige e fino alle dita dei piedi. Tutto il
mio corpo era diventato teso, un elastico teso fino al suo limite di massimo.
Avevo 20 anni e la mia vita sociale
si è improvvisamente ridotta alla mia stanza del dormitorio, appena più grande
di un bagno. Sedersi in macchina era diventato un’agonia. Una scala era come un
muro invalicabile. Faceva così male camminare fino al bagno comune che spesso
facevo pipì nel lavandino della stanza. Nel peggiore dei casi, non riuscivo
nemmeno ad alzarmi dal letto, anche se già il solo restare lì sdraiata era
doloroso. Le mie catene fisiche mi hanno anche bloccata fuori dalla mia vita
sociale. Se gli amici non fossero stati così gentili da venire nella mia stanza
e avere pietà della mia patetica esistenza, non sarei mai riuscita a vederli.
Ho perso rapidamente gli amici.
Per quanto piccola fosse la mia
stanza, non potevo occuparmene poiché la mia schiena comandava tutta la mia
attenzione, tutto il tempo. Non solo mi ha intrappolata in uno spazio fisico
claustrofobico, ma mi ha anche imprigionata in un momento con cui non volevo
avere niente a che fare: l'adesso. Il dolore prolungava ogni secondo del mio
vissuto, rendendo ardua ogni micro-decisione, facendo sentire ogni giorno come
un'eternità. Per quanto volessi una via di fuga dalla mia agonia, sono rimasta
bloccata sul posto mentre il dolore ha indebolito ogni gioia che avessi mai
potuto provare.
Come la prigione, il dolore
cronico può portare via la comunità di una persona. Molti pazienti tentano di
correggere questa perdita di supporto sociale cercando aiuto medico. "A
volte le persone si rivolgono al sistema sanitario in cerca di questo, ma è
probabile che rimarranno deluse", ha affermato Drew Leder, antropologo e
malato di dolore cronico. “Le compagnie assicurative non rimborsano il supporto
emotivo. Tutto ciò può lasciare qualcuno molto inascoltato”.
Trovare una diagnosi per il
dolore cronico è l'unico modo per abbreviare la pena. Mentre una diagnosi può
aiutare con il trattamento, alla persona in difficoltà può fornire qualcosa di
ancora più ambito: il significato. Eppure, per la natura stessa del dolore
cronico, significa che, lungi dall'essere un alleato, per molte persone il
sistema sanitario diventa tanto un antagonista tanto quanto il loro dolore.
Potremmo anche essere entrati
nell'era dei big data, ma per comprendere l'esperienza di coloro che vivono nel
dolore, il gold standard rimane una buona
ricerca qualitativa vecchio stile. Per sondare ciò che sappiamo su
ciò che il dolore cronico ha causato alle persone, il National Institute for
Health Research (NIHR) nel Regno Unito ha finanziato una meta-etnografia,
un'analisi collettiva di ciò che attraversano i pazienti con dolore
muscoloscheletrico. I ricercatori hanno esaminato più di 300 studi,
selezionandone 77 per sintetizzare il rapporto. Con oltre 200 pagine, il
rapporto è una dissezione essenziale di questo disturbo e delle persone che
affligge.
I ricercatori hanno
identificato cinque temi che definiscono le
lotte dei pazienti con dolore cronico. Le prime due – le lotte per affermarsi
e per ricostruirsi nel tempo – erano una funzione diretta di questa malattia
dirompente. Le persone con dolore cronico stanno lottando con un corpo
diventato un nemico e che minaccia di far evaporare la loro identità. La
malattia frattura il loro senso del tempo, lasciandoli paralizzati nel momento,
incapaci di pianificare il futuro o di essere spontanei.
Lungi dal fornire sollievo, il sistema medico può lasciare molti
con dolore cronico peggio di prima.
La cosa più devastante è che le
successive tre lotte identificate dai ricercatori - costruire
un significato della sofferenza, negoziare con il sistema sanitario e
dimostrare la legittimità - sono
tutti effetti collaterali tossici della medicina moderna, dei medici che ha
formato e dei sistemi sanitari che ha forgiato. Lungi dal fornire sollievo, il
sistema medico può lasciare molti con dolore cronico peggio di prima.
Non c'è forza che ci spinga
verso l'introspezione tanto quanto il dolore. La persona che soffre, come so
per esperienza, è iper vigile, concentrandosi su ogni torsione che il suo corpo
prende e su ogni superficie che il suo corpo tocca. Tale iper-consapevolezza
può essere incredibilmente faticosa e spesso può non funzionare correttamente,
facendo rimuginare su ogni dolore, ogni fitta.
La lotta per trovare una
spiegazione alla sofferenza è un artefatto diretto della pratica medica, in cui
il significato deriva da una diagnosi. Una diagnosi apre tutti i tipi di porte ai
pazienti, e si riflette con lo scarabocchio di un medico su un blocco o alcune
parole frettolosamente digitate sul computer che possono avere un impatto
sull'intera vita di qualcuno. Dà loro la speranza di una liberazione permanente
piuttosto che un sollievo effimero. Li fa sentire come se avessero una malattia
fisica piuttosto che una condizione mentale, che ciò che hanno è
"reale" piuttosto che nella loro testa. Quando stanno davanti a una macchina
per le radiografie o sono allungati nel vuoto a forma di ciambella di una
macchina per risonanza magnetica, quasi tutti i pazienti con dolore cronico
sperano che qualcosa si illumini, che qualcosa di rotto venga trovato. L'ultima
cosa che vogliono sentirsi dire è che tutto sembra a posto.
Il modo in cui trattiamo il dolore,
come consideriamo la sofferenza umana, è cambiato notevolmente dalla fine del
19° secolo. La scienza moderna ha cambiato la vita umana così rapidamente da
dare alle persone uno "shock futuro". Si potrebbe pensare che il
cambiamento sismico non si riverbererebbe in nessun luogo più potente che nel
corpo dell'uomo o della donna in agonia. Tuttavia,
quando si tratta di come una persona sofferente viene trattata dal moderno
sistema sanitario, invece di progredire, c'è stata una regressione, riflessa più
direttamente nel quarto tema che i ricercatori del NIHR hanno evidenziato: come
le persone con dolore cronico lottano per scendere a patti con il sistema
sanitario.
Quando la gamba destra di Lara
Birk ha ceduto nel bel mezzo di una partita di calcio, inizialmente pensava che
si fosse scheggiato l’osso del polpaccio; aveva corso molto quell'estate,
allenandosi per giocare per la squadra universitaria da junior. Ma il dolore
sembrava sproporzionato. Nessuno al campo capiva cosa stesse succedendo e alla
fine è stata mandata al pronto soccorso.
“Il medico continuava a dirmi
di smetterla di fare la piagnucolona. Continuava a fare domande a mio padre e
non mi guardava nemmeno negli occhi", mi disse. "Un altro medico ha
detto a mia madre che era tutto nella mia testa e che doveva portarmi da uno
psichiatra".
Birk ha lottato per un altro
giorno e mezzo in ospedale prima che qualcuno finalmente capisse cosa stava
succedendo: aveva la sindrome compartimentale da sforzo acuto, una condizione
rara in cui la pressione si accumula nella parte muscolare del braccio o della
gamba. Non appena hanno misurato la pressione nella sua gamba, è stata portata
per un intervento chirurgico d'urgenza. Se la diagnosi fosse stata ritardata
anche di qualche ora in più, le dissero i suoi chirurghi, le avrebbero dovuto
mozzare una gamba.
Mentre una diagnosi le ha
salvato l'arto, Birk è diventata qualcosa che non auguro a nessuno dei miei
pazienti: il caso clinicamente interessante. I medici entravano e uscivano
costantemente dalla sua stanza per guardarle la gamba. "Mi hanno zittita,
in modo che potessero parlare tra loro mentre indicavano il tendine esposto,
palpavano la massa muscolare rimanente e infilavano i loro bisturi tascabili
nella carne necrotica", ha scritto in un'auto-etnografia.
"Mi
è stato spesso detto che ero isterica, che stavo peggiorando le cose
prestandoci attenzione".
Lara
Birk
Questo è stato solo l'inizio
del viaggio di Birk con il dolore. Adesso è sulla quarantina. Dopo l'operazione
iniziale, è stata in ospedale per sei settimane e al momento delle dimissioni
era ancora su una sedia a rotelle; avrebbe camminato con le stampelle per i
successivi quattro anni. La ferita sulla sua gamba era lunga 10 pollici e larga
quattro. Poi anche la sua gamba sinistra ha sviluppato la sindrome
compartimentale. Ha subito un totale di 15 interventi chirurgici e, anche se la
"causa organica" originaria del suo dolore si è apparentemente
risolta, ha continuato ad avere difficoltà.
Quando le ho parlato, era
evidente che le parole pronunciate dai suoi chirurghi la ferivano ancora di più
delle incisioni che le avevano fatto. “Da giovane, non venivo presa sul serio”,
ha detto. "Mi è stato spesso detto che ero isterica, che stavo peggiorando
le cose prestandoci attenzione".
Birk è stata implacabile:
"Dicevo ai medici di non toccare quest'area, ma loro mi hanno ignorata e
mi hanno ferito".
Tuttavia, poiché il dolore di
Birk continuava a ripresentarsi, non aveva altra scelta che tornare dagli
stessi medici che già l’avevano abusata. "Le persone a cui stavo tornando,
ero invisibile per loro", mi ha detto. “È stata come una illuminazione: ho
cominciato a dubitare dei miei pensieri. Forse hanno ragione e me lo sto
inventando. L'ho interiorizzato e sto ancora lavorando per cancellare questa
cosa".
Se i
medici non l'hanno appreso alla scuola di medicina o non possono farlo sparire,
quel qualcosa probabilmente non è reale ma inventato.
Per quanto straziante sia, il
racconto di Birk non è un caso eccezionale. È così che la medicina moderna
tratta tutto ciò che non comprende. Se i medici non l'hanno appreso alla scuola
di medicina o non possono farlo sparire, quel qualcosa probabilmente non è
reale ma inventato.
Birk ha imparato a navigare fra
i meandri delle strutture egemoniche che governavano la sua vita. Per il
sistema medico non basta che tu sia malato; devi recitare la parte. "Nel
tempo ho imparato quali dettagli dare, quando e per quanto tempo parlare quando
entro in una stanza e incontro un medico per la prima volta", ha detto
Birk.
Birk è una persona orgogliosa
che non ha mai voluto essere resa disabile dal suo dolore, eppure ha scoperto
che a meno che non recitasse come ci si aspettava, le persone non l'avrebbero
presa sul serio. Non voleva camminare con un bastone, ma sapeva che sarebbe
stata guardata male se avesse parcheggiato in un posto per disabili senza quell’ausilio.
Questa funzione sociale fondamentale del dolore cronico la mette in difficoltà:
prestazioni insufficienti e non vieni preso sul serio; sovraperformare e
diventi sospetto.
Alla fine, Birk ha preso il
controllo della vita; controllo che i medici detestano dare via. Il medico
americano medio impiega 12 secondi per interrompere un paziente mentre inizia
raccontare la propria storia. Tutto ciò che segue è alle condizioni del
dottore, nella sintassi da lui scelta. E Birk, in quanto persona bianca,
altamente istruita, di classe medio-alta, ha abbastanza perspicacia per sapere
che le cose sarebbero potute andare peggio, scrivendo che il suo "stato
sociale avanzato" avrebbe potuto renderla cieca "ai molti modi in cui
razza e classe aggravano e complicano gli effetti della disabilità”.
I pazienti con
dolore cronico, non allineati con un approccio medico algoritmico che premia i
disturbi che può visualizzare, caratterizzare e polverizzare, sono diventati come
dei paria. Esistono in un purgatorio tra malattia fisica e psicologica. Questo
è il motivo principale per cui sperimentano la quinta e ultima grande lotta
identificata dalla ricerca NIHR: la lotta per la legittimità. Il desiderio di
legittimità può consumare tutto. Può annientare la realtà di una persona e,
dato il tempo, consumare l'intero mondo circostante.
Invertire questi torti non avrà
bisogno di niente di meno che di una riorganizzazione fondamentale del modo in
cui i medici definiscono quali sintomi contano e quali no. Richiederà alla
medicina di superare la dicotomia mente-corpo introdotta per la prima volta da
Descartes e riconoscere che ciò che conta non è se un sintomo si allinea con un
brufolo su una TAC o se trasforma un valore di laboratorio in rosso. Ciò che
conta di più è ciò che una persona sente, e quello dovrebbe essere sempre il punto
di partenza che guida la loro ricerca di una diagnosi. Una diagnosi può aprire
la porta a determinati trattamenti specifici, ma non dovrebbe mai essere una alternativa
al trattare le persone con rispetto e compassione. Un
approccio medico radicato nella gentilezza potrebbe non solo rendere meno arduo
il viaggio del paziente con dolore cronico. Potrebbe benissimo essere la chiave
per creare un sistema sanitario e una società giusti ed equi."
Tratto da The Song of Our Scars: The Untold Story of
Pain di Haider Warraich. Copyright © 2022. Disponibile da Basic Books, un
marchio di Hachette Book Group, Inc.
Traduzione di Filo di Speranza
Leggi articolo originale: qui.