venerdì 26 febbraio 2021

...lezioni sul dolore no. 13

 
(immagine dal web)
 
"Ogni persona che incontri
sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla.
Sii gentile. Sempre.”
-Carlo Mazzacurati-

 13. la quotidianità di chi convive con il dolore cronico

 “4.1 La quotidianità di chi convive con il dolore cronico

Il dolore cronico non irrompe all’improvviso. Spesso i pazienti si sottopongono, per settimane o mesi, a svariati test clinici e diagnostici, esami di approfondimento, fisioterapie o interventi chirurgici e terapie alternative nella speranza di porre fine alla propria sofferenza. Questa situazione è frustrante dal punto di vista fisico e psicologico, ed è facile perdere la fiducia negli specialisti se ci si sente incompresi, abbandonati e indifesi senza aver ottenuto il minimo miglioramento dal punto divista fisico (Shone, 1994). Il disagio del paziente può degenerare in nervosismo, senso di colpa, rabbia, e portare alla sospensione della cura (Wall, 1999). È anche possibile che quando non si trovano ragioni organico-fisiologiche per giustificare il dolore lamentato l’atteggiamento dei medici e degli infermieri cambi (Ercolani,1997). In questa situazione infatti, il personale medico potrebbe mettersi in discussione dal punto di vista professionale, in quanto incapace di capire cosa stia succedendo, oltre a preoccuparsi per la mancanza di efficacia delle cure prescritte. I pazienti con dolore cronico lamentano una evidente modificazione del loro stile di vita: interruzione dell’attività lavorativa o ricerca di una riduzione del carico di lavoro con la scelta di un orario part time, impossibilità a gestire la casa o la famiglia, abbandono di hobby o attività sportive a causa del dolore derivante, ma soprattutto difficoltà nelle relazioni interpersonali. Sembra molto difficile far accettare agli altri di provare veramente dolore, un dolore talvolta così forte da compro-mettere tutta la propria giornata. Si tende a credere alla sofferenza se ci sono cause organiche che possano confermala, ma diversamente è facile pensare che il paziente stia fingendo o tenti di sottrarsi a qualche attività rimanendo comunque al centro dell’attenzione. Non si può negare il beneficio secondario che la malattia porta con sé: il dolore cronico risulta un modo semplice di evitare qualcosa non gradevole, un lavoro non apprezzato, un partner difficile o una situazione familiare stressante (Shone, 1994). Anche gli amici possono modificare il loro atteggiamento se il dolore, inizialmente comprensibile e atteso, non tende ad attenuarsi (Wall, 1999), e questo può compromettere in modo significativo la vita di relazione. Chi soffre di dolore cronico in molti casi non si rende conto del complesso sistema nel quale si trova imprigionato. In molti casi non è più libero di muoversi come vorrebbe, vive ogni spostamento fisico con fatica e paura di provare dolore, ha dovuto riorganizzare la propria quotidianità e il ruolo in famiglia, sul lavoro e nella società (Shone, 1994). Queste persone hanno spesso superato i cinquant’anni, un dato che rende ancora più complessa la situazione psicologica. A questa età infatti si va incontro a una profonda modifica del proprio ruolo sociale: doversi accontentare di un lavoro part time o addirittura licenziarsi perché non più in grado di sostenere il proprio lavoro anticipa la fuoriuscita dalla comunità lavorativa. Tale esito può essere vissuto con notevole sofferenza e amplificare la convinzione di essere più un peso che un elemento attivo nel mondo circostante, alimentando così, oltre alla sofferenza fisica, anche quella psicologica.”

Brano tratto da Psicologia clinica del dolore pp 35-46

La multidimensionalità del dolore: aspetti psicologici

Autori: Valentina Forni, Stefano Cugno, Daniele Rovaris, Paola Cuzziol, Enrico Molinari, Gianluca Castelnuovo

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