mercoledì 21 giugno 2023

...tra realtà e fantascienza

(immagine dal web)

"Terapia genica per il dolore cronico: fantascienza o realtà?

Si sta espandendo l’universo dei possibili bersagli molecolari della terapia genica e, tra questi, ci sono anche i neuroni deputati alla percezione del dolore. Ma la strada è ancora lunga.

Il dolore è il sistema d’allarme del nostro organismo: quando si trova di fronte a uno stimolo meccanico, termico o chimico che raggiunge un livello di intensità tale da essere pericoloso per l’organismo, l’allarme si attiva. Sebbene sia rodato da millenni di evoluzione umana, ogni tanto questo meccanismo fallisce e il segnale di dolore risulta indipendente da stimoli, diventando così cronico. Una situazione clinica spiacevole che colpisce circa il 20% delle persone in Europa (Fonte: European Pain Federation) e che, nonostante i progressi nella ricerca e l’evidente necessità, non ha ancora visto una soluzione terapeutica efficace e con pochi – o, magari, nulli – effetti collaterali. La terapia genica potrebbe in futuro offrire un’opportunità per la gestione del dolore cronico: su Nature Reviews Neuroscience è stata pubblicata una panoramica sul tema.

SINTOMO O PATOLOGIA: COS’È IL DOLORE?

Un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, di solito associata a un danno fisico reale o potenziale: il dolore è un’esperienza che ciascuno di noi ha provato – fatta eccezione per i rari casi di patologie che offuscano o disinnescano il meccanismo – e che è influenzata da diversi parametri. Il dolore, infatti, è soggettivo e non è sempre esclusivamente vincolato all’attività dei neuroni sensoriali, cioè quei neuroni deputati all’acquisizione degli stimoli da parte degli organi sensoriali. Stimoli che possono essere un taglio, una scottatura o uno schiacciamento, ma anche un’infiammazione a un’articolazione o un tumore.

Esistono due tipi di dolore: acuto, che ha una durata variabile ma limitata (deve sparire entro i 3 mesi); e cronico, che si protrae nel tempo. Il primo è un meccanismo di protezione e sopravvivenza perché svolge una funzione protettiva; il secondo è un fenomeno più complesso. Nella maggior parte dei casi, il fine ultimo della sensibilizzazione e del dolore è quello di evitare di provocare un danno più esteso. Purtroppo, a volte il dolore persiste anche dopo la guarigione della ferita o anche in assenza di danni rilevabili: in questi casi la relazione tra dolore e danno fisico è tutt'altro che semplice.

Se venisse curato il problema di fondo, il dolore dovrebbe prima diminuire e poi sparire, ma a volte l’allarme non viene disattivato (o non se ne individua la causa). Come raccontato in un recente editoriale pubblicato su Nature, il dolore cronico ha molte manifestazioni e numerose cause, e la ricerca di base nelle neuroscienze e nell'immunologia ha contribuito molto alla sua comprensione. Inoltre, sta diventando sempre più chiaro che il dolore cronico è legato a una complessa combinazione di fattori neurologici, immunologici, psicologici e sociali. Infatti, depressione, ansia e altre forme di disagio emotivo possono far peggiorare il dolore o essere alimentate da esso. Avendo una natura multifattoriale, spesso non è riconosciuto - e quindi non è trattato a dovere – neanche da parte dei professionisti sanitari. Sempre nell’editoriale è citato uno studio del 2022 sulla fibromialgia che ha rivelato che alcuni medici britannici hanno dichiarato in un sondaggio di non ritenere che si tratti di una condizione distinta o reale.

I FARMACI PER RIDURRE LA SOFFERENZA

Per rispondere a queste necessità sono state sviluppate terapie che possono, almeno in parte, silenziare l’allarme. Purtroppo, l'accesso alla giusta combinazione di trattamenti, o a qualsiasi trattamento in alcuni casi, non è facile. Le problematiche sono molteplici e vanno dall’assenza di un approccio olistico – che includa, ad esempio, psicoterapia, tecniche di rilassamento, yoga, fisioterapia oltre ai farmaci – agli ostacoli burocratici e organizzativi dei sistemi sanitari o dei sistemi assicurativi, come lunghe liste di attesa o elevata distanza da centri del dolore. A questo si aggiunge la difficoltà di avere una diagnosi, traguardo non sempre facile da raggiungere.

Gli oppioidi rimangono lo standard di cura per molti casi di dolore cronico. Sebbene siano spesso la migliore opzione disponibile, presentano degli svantaggi piuttosto importanti. Tra questi, gli effetti collaterali e la tendenza a rendere le persone più sensibili al dolore nel tempo, con conseguente rischio di dipendenza. In generale, i medici prescrivono da anni gli stessi trattamenti e l’epidemia di abuso di oppioidi – che possono indurre una dipendenza che può portare poi anche all’utilizzo di farmaci non regolarmente prescritti e di altre sostanze illegali - è un tema molto sentito, specialmente negli Stati Uniti.

UN ASSAGGIO DI GENETICA DEL DOLORE

Stando a uno studio del 2012, i fattori genetici sono responsabili del 30-76% della varianza nella risposta al dolore e possono spiegare sia la soglia del dolore sia la suscettibilità al dolore cronico. Le proteine di membrana, cioè quelle che permettono il passaggio del segnale nervoso da un neurone all’altro e che, di conseguenza, sono responsabili anche della comunicazione degli stimoli dolorosi, sono uno dei focus principali. Mutazioni nei geni che codificano per queste proteine possono aumentare o diminuire la percezione del dolore.

Dei nove canali voltaggio-dipendenti per il sodio (Na V1.1 – Na V 1.9), tre sono espressi preferenzialmente nei neuroni sensoriali primari e hanno un ruolo essenziale nel dolore cronico: Na V 1.7, Na V 1.8 e Na V 1.9. Questi canali controllano la sensazione di dolore regolando il flusso di ioni sodio in alcune cellule nervose. Il più ampiamente studiato e validato come bersaglio del dolore umano è il Na V 1.7, la cui perdita di funzione produce una insensibilità al dolore (ad esempio nel caso di fratture, ustioni, …), mentre se c’è una eccessiva stimolazione provoca dolori lancinanti in casi di eritromelalgia e alcune paralisi ereditarie. Dopo la scoperta di mutazioni nel gene SCNA9, che codifica per Na V 1.7, in queste rare malattie monogeniche e del ruolo chiave del canale nell’attività dei nocicettori periferici (neuroni specializzati nella percezione di stimoli dolorosi) sono stati fatti diversi studi sui modelli animali. I risultati di questi studi hanno confermato l’importanza del canale nel dolore infiammatorio e neuropatico: Na V 1.7 è quindi un bersaglio promettente per nuovi farmaci antidolorifici. Purtroppo, Na V 1.7 è molto simile a diverse altre proteine e i ricercatori non sono riusciti a sviluppare un farmaco in grado di colpirlo in maniera specifica senza influenzare altre proteine correlate.

Importanti anche i canali voltaggio dipendenti per il potassio, presenti nei neuroni e nelle cellule gliali e implicati in molteplici condizioni di dolore, e i canali del calcio, coinvolti nel dolore infiammatorio e neuropatico. Inoltre, anche i canali TRP, coinvolti nella trasmissione del dolore dai neuroni sensoriali primari; e i canali ionici sensibili agli acidi, attivati nei processi infiammatori, sono considerati di grande interesse per le terapie di precisione.

POTREBBE ESISTERE UNA TERAPIA DI PRECISIONE PER IL DOLORE?

La medicina del dolore è un settore di estremo interesse per la farmacologia in generale e, visti i recenti progressi negli strumenti in grado di intervenire sui meccanismi genetici, anche per le terapie avanzate. Terapia genica e editing genomico, entrambi settori in forte espansione negli ultimi anni, potrebbero offrire opzioni prima inimmaginabili. Gli sforzi per migliorare i risultati clinici e per limitare gli effetti avversi, specialmente quelli legati alla risposta immunitaria, stanno concretizzando queste possibilità.

Recentemente, l'uso di Crispr-Cas9 ha permesso agli scienziati di colpire i geni con un approccio più specifico e diretto. Tuttavia, una riduzione permanente della percezione del dolore non è auspicabile, a causa delle possibili ripercussioni: una persona che non sente dolore potrebbe, ad esempio, essere impiegata nelle forze armate, come insegna Capitan America. Agire sul gene bersaglio, ma senza modifiche permanenti del genoma, sarebbe quindi preferibile. In virtù di quest’ultima considerazione, anche l’utilizzo degli oligonucleotidi antisenso – che però non rientrano nella definizione di terapia avanzata - potrebbe essere un’alternativa per il trattamento del dolore cronico, dato che si potrebbe sopprimere o modulare l’espressione genica grazie all’utilizzo di piccole molecole di RNA o DNA specifici, senza sostituire un gene specifico.

UN ASSAGGIO DI RICERCA ITALIANA

Uno studio italiano su una terapia per il dolore neuropatico, pubblicato nel 2018 su Nature Methods, ha vinto di recente l’ottava edizione del Premio Aspen Institute Italia per la collaborazione e la ricerca scientifica tra Italia e Stati Uniti. Pur non trattandosi di una terapia avanzata, è una ricerca molto innovative che prevede l’utilizzo di una proteina sintetica che, attivata “da remoto” grazie alla luce blu, è in grado di inibire l’attività dei neuroni. Essendo il dolore neuropatico causato da una ipereccitabilità dei neuroni, questa soluzione potrebbe dare sollievo. È un approccio che permette di attivare la molecola a distanza e controllare l’attività cellulare in modo reversibile e nei tempi voluti: aspetto fondamentale in queste situazioni cliniche.

La proteina, chiamata BLINK2, è stata costruita all’interno del laboratorio di Biofisica dei canali ionici del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano guidato dalla prof.ssa Anna Moroni. Successivamente, il laboratorio di Neuromodulation of Cortical and Subcortical Circuits, guidato dalla dott.ssa Raffaella Tonini dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, ne ha dimostrato la funzionalità sull’attività neuronale. Tutto questo in collaborazione con Columbia University a New York e la University of Arizona a Tucson.

LE SFIDE RESTANO

A causa del numero limitato di farmaci efficaci per il dolore cronico, vi è la necessità di ampliare il repertorio dei trattamenti per questa complessa situazione clinica. Gli studi che hanno messo in relazione la genetica al processo del dolore e i nuovi approcci terapeutici per alleviare il dolore hanno aperto la strada a una nuova era di potenziali trattamenti. Come racconta la puntata di Reshape dedicata alla terapia genica, dai primi studi di proof-of-concept negli anni '80, sono stati fatti passi da gigante nella ricerca di base e nella traduzione clinica della terapia genica. Tuttavia, prima che queste terapie di precisione siano accessibili a un pubblico così ampio, è necessario un miglioramento nella produzione della terapia genica: attualmente i costi sono troppo elevati e non è così semplice produrne in grandi quantità “off-the-shelf”, entrambi parametri limitanti nel caso di una terapia destinata a un gran numero di persone. Un’altra sfida è rappresentata dalle risposte immunitaria contro la somministrazione di vettori virali che, se somministrati per via intratecale, potrebbe ridursi. Un percorso di approvazione chiaro e meno macchinoso sarebbe un altro punto a favore dell’utilizzo di terapie geniche.

Gli approcci che non danno priorità ai numerosi e complessi fattori che determinano il dolore cronico, e che addirittura ne negano l'esistenza, sono causa di inutili sofferenze per milioni di persone. È necessario un cambiamento per garantire che le persone affette da dolore cronico possano accedere ai trattamenti che hanno maggiori probabilità di aiutarle e che lo stigma e i pregiudizi che caratterizzano la narrazione medica e sociale del dolore cronico vengano sconfitti.

Di: Rachele Mazzaracca - 17 Maggio 2023"

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