domenica 12 dicembre 2021

…il ruolo dell’accettazione e del pensiero catastrofico nel dolore cronico

(immagine dal web)

Pubblicato il: 15 Marzo 2019Autore: Dott.ssa Virginia Valentino

“Il dolore cronico è definito come un dolore che persiste continuamente o episodicamente per più di 3 mesi e che resiste ai trattamenti medici ((NINDS, 2016). Una condizione molto diffusa è quella della lombalgia, cioè il dolore che interessa la parte inferiore della schiena. Questo tipo dolore può avere cause meccaniche o organiche a seconda se incorre in seguito ad incidenti, sollevamenti pesanti, o cambiamenti nella struttura della colonna vertebrale legata all’invecchiamento oppure in seguito a malattie, come ad esempio tumori spinali o, in generale, ossei.

Percepire il dolore in modo continuativo disturba sia fisicamente che psicologicamente e può avere ricadute notevoli anche sul versante sociale ed economico. Infatti non emergono solo difficoltà fisiche, come ad esempio camminare, svolgere attività domestiche o semplicemente stare seduti, in piedi, salire le scale perché il dolore cronico influisce anche sull’interazione sociale, limitando l’attività ed il contatto sociale e rendendo insufficiente la qualità di vita dei pazienti. In questo caso, il costrutto “qualità di vita” è legato a due elementi: la cronicità e l’incontrollabilità del dolore che comprendono il desiderio del sollievo, la rabbia e la frustrazione, il senso di vulnerabilità, paura e preoccupazione, così come l’incertezza del futuro (Bentsen, et al., 2008).

Dal punto di vista psicologico, due aspetti svolgono un ruolo importante nella gestione del dolore cronico: l’accettazione e la catastrofizzazione (Doran, 2014).

L’accettazione è un atteggiamento mentale che aiuta a spostare l’attenzione da qualcosa che non può essere controllato come, appunto, il dolore e le emozioni negative che ne seguono, a qualcosa di più controllabile (McCracken e Eccleston, 2005). McCracken e Eccleston (2003) hanno concluso che, piuttosto che sforzarsi a controllare esperienze incontrollabili come il dolore, le persone che hanno risposto con accettazione hanno riferito dolore meno intenso, meno depressione e ansia e conseguenze meno negative in termini di impedimenti meccanici nella vita quotidiana. Infatti l’accettazione radicale comprende l’impegno ed il perseguire in attività di vita indipendentemente dal dolore stesso e dalla capacità di sperimentare il dolore senza cercare attivamente di evitarlo o ridurlo.

Questo trova corrispondenza nell’evidenza che coloro che cercano di controllare il dolore che, in alcune circostanze è incontrollabile, improvviso, non applicando, quindi, l’accettazione, hanno un impatto negativo in termini di qualità di vita e tendono ad utilizzare uno stile di pensiero basato sulla catastrofizzazione, interpretando in modo eccessivamente negativo l’esperienza di dolore e, pensando di non avere possibilità di controllarlo, ruminando su di esso senza riuscire a regolare il flusso di pensieri e le conseguenze emotive negative (Sturgeon e Zautra, 2013).

La catastrofizzazione correla, infatti, con una esperienza di dolore più intensa, con una soglia del dolore più bassa e con risposte più povere o inefficaci di gestione del dolore stesso.
La catastrofizzazione comprende la ruminazione, che impedisce di sopprimere o distogliere l’attenzione dai pensieri legati al dolore e focalizzarli su altro, la tendenza ad esagerare la spiacevolezza del dolore e l’aspettativa di risultati negativi ed il senso di impotenza, che riflette l’incapacità di poter fare qualcosa di efficace per gestire il momento (Quartana et al., 2009).

Lo studio di Elander del 2009 dimostra che per migliorare la qualità della vita non serve soltanto lavorare sull’accettazione consapevole ma è utile anche ridurre i pensieri catastrofici: l’accettazione ha un impatto positivo sulla qualità della vita, mentre la catastrofizzazione ha un impatto negativo. Quindi, per migliorare la qualità della vita, il livello del catastrofismo dovrebbe essere abbassato e quello dell’accettazione dovrebbe innalzato (Semeru e Halim, 2019). Questo risultato è in linea con gli studi precedenti che hanno dichiarato che una maggiore accettazione è associata a una migliore emotività e ad una migliore attitudine fisica e sociale (Viane et al., 2003).

Queste evidenze hanno notevoli ricadute in termini di trattamento del dolore cronico: molto spesso ci si focalizza solo sulla terapia farmacologica mentre si dovrebbe incoraggiare lo sviluppo di un trattamento più completo per il dolore che comprende vari aspetti, tra cui quello psicologico, aiutando i pazienti a sentirsi meno frustrati, meno arrabbiati o impauriti e più competenti nella gestione degli stati di dolore, senza subirlo passivamente, liberandosi da ruminazioni costanti sulla condizione che si vive. I pazienti possono sentirsi meno indifesi se dotati di armi che hanno i nomi di accettazione radicale e consapevolezza, aspetti collegati alla mindfulness che comprende il vivere il momento presente con un atteggiamento di apertura e non giudizio.”

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